UN SANTO DI FERRO
DAL NOTIZIARIO FORESTALE n°239, 240, 241
GIUGNO - AGOSTO 1974
da "L'Osservatore Romano
Non è vero che le fonti si sono inaridite, che la luce delle fede va spegnendosi, che la notte del nostro tempo non ha la speranza e l'attesa dell'alba: le sorgenti scaturiscono acque sempre nuove, inesauribili, la lampada della fede viene alimentata con amore, ed arde senza vacillare, tanti segni già dicono che l'alba è vicina, il risveglio imminente.
Vallombrosa, 12 di luglio: un gruppo di uomini risale dalla valle dell'Arno, e dopo pievi e borghi, e filari di vigne e di olivi, e scenari e orizzonti incomparabili della stupenda terra toscana, si inoltra nell'ampio monte " che le selve etrusche sovrastano con le loro alte vette ". Vengono da lontano, dalle Alpi e dal Sud, da altre valli e da altri monti, dalle isole assolate del Tirreno: sono forestali italiani, e nel giorno di San Giovanni Gualberto portano olio per alimentare la lampada votiva che per essi arde, perennemente, davanti allo altare del Santo, nella grande, chiara, bellissima Abbazia " di mille abeti mille volte cinta ". Vengono a turno, regione per regione: quest'anno dalla Sardegna, con le loro autorità regionali, con i gruppi caratteristici ricchi di cori profondi e di magnifici costumi, con i loro doni, la loro schiettezza.
Fu Papa PACELLI nel 1951, a dichiarare Giovanni Gualberto " Patrono presso Dio dei forestali d'Italia ": ne era stato ufficialmente richiesto dal Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, Antonio SEGNI. "E Noi, dice il Breve Pontificio di Pio XII, apprezzando il gravoso compito dei forestali, abbiamo accolto volentieri questo desiderio, affinché essi possano godere dell'aiuto di un Santo cosi amante e benemerito delle foreste" Da allora i forestali tornano, il 12 di luglio, fedelmente: li accompagnano i loro capi, spesso il loro Ministro. " E' come un annuale pellegrinaggio, dice il Direttore Generale del Corpo Forestale, Valerio BENVENUTI ed il rinnovarsi di questo rito tradizionale ci commuove sempre, nel momento in cui la nostra lampada trova nuovo alimento, luce e calore, nell'olio offerto dai forestali, sparsi dovunque ma qui spiritualmente tutti e fortemente uniti nel rinnovare l'offerta delle loro persone e della loro fatica alla Patria che amano, e che curano e difendono nelle bellezze infinite che la natura le ha donato, ed ai Maestri che, primo San Giovanni Gualberto, hanno da tempo loro indicato la scelta e la dedizione della vita ".
Non pare vero, pare un miracolo oggi, tutto questo, e forse queste cose non si sanno, o non le credono. Ma esse avvengono, ed è quello che conta.
La semplicità del rito, sempre uguale, è stata solennizzata quest'anno dalle celebrazioni del nono centenario della morte di San Giovanni Gualberto. " Uno splendido centenario ", come sognava, preparandolo, l'Abate Generale dei Vailombrosani, Padre Giuseppe Zambernardi, ed annunciandolo ufficialmente ai fiorentini da Palazzo Vecchio, con una conferenza che resterà tra le sintesi descrittive più felici della vita e delle opere del Santo. Quelle immagini, quelle frasi, quelle sequenze balenavano, tra i cinquecenteschi arazzi della Sala dei Dugento: buio ed albori del Mille, lotta per le investiture, simonia, nicolaismo, smarrimento e pena, ed ansia di rinnovamento, risveglio, ribellione, Giovanni Gualberto, l'uomo che impersona e ribellione e rinascita:
La sua vita comincia con una testimonianza di carità eroica, il perdono all'assassino del fratello, prosegue nella rinuncia in San Miniato, discende nel Mercato di Firenze, fugge a Camaldoli, sale a Vallombrosa, da allora acropoli dei cerca tori di Dio, dei difensori della fede pura. Sale a Vallomnbrosa a cercare " nel silenzio e nella solitudine dei boschi dell'Appennino la condizione più favorevole al colloquio con Dio - sono parole di Papa MONTINI -; non è una fuga dalla realtà terrena o una specie di tranquillità oziosa che distolga la. mente dai doveri verso la Chiesa e la umana società. Benché monaco, egli prese parte pienamente e concretamente alla vita della Chiesa e insieme ai suoi monaci svolse opera di condottiero in gravissime vicende... Dalla sua Vallombrosa, come da una torre di guardia, scopriva e seguiva le smisurate necessità... ".
Uno splendido centenario: il vaticinio si è avverato. E lo splendore ha varcato lo scenario d'incontro in cui si sono svolte le celebrazioni, ed ha diffuso dovunque il suo chiarore: la luce che proviene dalla testimonianza, dall'insegnamento di Giovanni Gualberto, è stata levata in alto. Oggi in gran numero la stanno osservando, pare che la stessero aspettando, si apprestano a seguirla. Quanto valida, e quanto aderente ed interprete la lettera di Papa Paolo VI ai monaci, all'inizio delle celebrazioni noventenarie: " ... ben fate a voler ricordare quel gran Santo che fu fortissimo asceta, riformatore e fondatore di una delle prime congregazioni benedettina e che dovrebbe più e meglio essere conosciuto perché i problemi del suo tempo, per tanti versi sembrano quelli del nostro... ". Ed i monaci, con la instancabile, incandescente iniziativa del loro Abate Generale, hanno spalancato le porte di quella grande, di quella immensa Vallombrosa spirituale che raccoglie ed offre la voce di Giovanni Gualberto.
"Credo tutto il simbolo apostolico, credo quanto insegna il Vicario di Cristo", sono le prime parole che scrive nel suo testamento spirituale, brevissimo. Di questa fedeltà piena, indiscutibile, primaria, che il nostro tempo sembra accantonare, di questa fedeltà si deve parlare. " Un fedele di Roma ", è il titolo di un articolo forte e chiaro, di livello superiore, che un quotidiano romano ha pubblicato in questi giorni. "Al Pontefice egli guarda, e nell'ora tempestosa che volge, di un attacco concentrico a Roma; che diviene sinonimo di Cattolicesimo e dì Pontefice, che tale non può essere se non è Romano, dinnanzi a questo assalto.., è già una ripresa di energia sentire accanto a ciascuno di noi questo Santo italiano del Mille che, pur di non tradire il suo Re Crocifisso, affronta la Piazza ed il Vertice, rischiando la lapidazione e la geenna, e fa della fedeltà a Roma, cioè a Pietro, il segno distintivo e lo spirito animatore della sua azione coraggiosa e tenace, fino ad apparire intrasigente" (Giornale d'Italia). I papi del suo tempo ne traggono conforto, lo cercano, Leone IX va addirittura da lui, a Passignano, lo difendono in Concili burrascosi, come Alessandro II; "teneramente lo amammo, scriverà alla sua morte il monaco Ildebrando da Sovana, divenuto Gregorio VII, perché la purezza della sua fede risplendé meravigliosamente nelle terre della Tuscia".
"Credo nella preghiera", prosegue il testamento. In una serata vallombrosana Giorgio La Pira, sociologo, così commenta: "Non la sociologia né i sociologi salveranno la società e la Chiesa, ma la preghiera".." Credo nel lavoro ": la sua è forse tra le più grandiose realizzazioni della regola benedettina, ha la maestosità della Creazione. Un Ministro dell'Agricoltura, tra i primi dopo l'unità d'Italia, il laicissimo LUZZATTI, salendo a Vallombrosa per aprirvi l'istituto Superiore Forestale, la chiamerà "salvata dal pensiero divino"; un suo successore, RUMOR, è venuto quassù a consegnare allo Abate successore di San Gualberto la medaglia d'oro a merito silvano. Piccoli segni, ma di un riconoscimento universale. "Selvacultori a monte, canalizza tori a valle, questo è stato scritto dei monaci, ad essi si doveva la grande bonifica, che non si limitava ad una sola piaga, ma si stendeva dalla montagna alla palude
" Credo nella carità... " cosi si conclude l'ultimo messaggio di una vita che si è iniziata con un supremo atto di amore.
Uno splendido centenario, forse come mai altri. E destinato a durare. Tra le volte della Chiesa Abaziale di Vallombrosa riecheggiano le omelie celebrative. " Pur con la brama di gustare le dolcezze della contemplazione e della solitudine penitente, ha detto con voce forte il Cardinale PALAZZINI, eccolo scendere nella vita attiva per lo zelo della riforma, eccolo lasciar l'eremo, lottare con tutte le appassionate forze che aveva nel cuore, comparire qua e la, fra i popoli, ambasciatore, agitatore, polemista, ... tagliar netto tra verità ed errore, santità e perversità, palliativi di pace e pace piena... Uomini, santi di ferro occorrerebbero, come Giovanni Gualberto, per una sincera riforma di vita, per la eliminazione delle crescenti con fusioni di ogni ordine sociale ". E il Cardinale FLORIT, di Firenze: "...come il suo omonimo, il Battista mandato da Dio, ebbe di lui l'intransigenza, la severità di vita, la libertà di parola, il rifiuto del doppio gioco... Emerge nella sua figura la distinzione inequivocabile tra vera e falsa contestazione, tra l'umile servizio impregnato di carità e l'orgoglioso atteggiamento di coloro che, ieri come oggi, propugnano una Chiesa che piaccia al mondo... Ritiro orante per poter predicare al mondo le cose le cose contemplate, e farlo in autenticità e purezza ". E il Nunzio in Italia Mons. Carboni, " alla preghiera volle accompagnare, la povertà e la libertà... A questa attualità che abbiamo veduta in una prospettiva di fortezza di fede, vogliamo aggiungere un'altra meravigliosa caratteristica, la sicurezza di speranza, l'abbandono totale in Dio ".
Le celebrazioni centenarie si concludono, ma continuano nelle parole di Papa Paolo VI: "In tal modo Vallombrosa, dove Giovanni Gualberto con fede intrepida e mai piegato da nessuna difficoltà durante tutta la vita condusse la sua nobile battaglia, divenne un faro di rinnovamento spirituale, la cui luce deve ancora guidare gli animi desiderosi di raggiungere valori più alti... ".
DOMENICO RAINESI
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